Vacchetti Filippo
VACCHETTI FILIPPO
(Carrù, 28 maggio 1873 – Carrù, 8 luglio 1945)

BIOGRAFIA E OPERE
Vacchetti Filippo, all’Albertina ebbe come maestri, Pier Celestino Gilardi, Paolo Gaidano, Andrea Marchisio, Andrea Tavernier e Giacomo Grosso. A Torino andò ad abitare in una soffitta di piazza Carlina (Piazza Vittorio Emanuele II), dove negli anni successivi fu raggiunto dal fratello Emilio (Carrù 1880 – 1964) litografo e pittore e più tardi ancora dal fratello Sandro (Carrù 1889 – 1974) ceramista e pittore. La sua prima uscita pubblica, avvenne nel 1907 alla Promotrice di Torino, con l’opera: “Ritratto di contadina”. Il Grosso che era chiamato il “Despota della pittura” ma che era sempre prodigo di consigli verso i suoi allievi considerati più meritevoli lo invitò a dedicarsi alla natura morta e Pippo accolse l’invito del maestro, diventando così un bravo naturamortista, pur non disdegnando il ritratto e il paesaggio. Diplomatosi con merito dopo sette anni di studio, per mantenersi dipinse su ordinazione: sopra porte, paesaggi, ritratti spesso ricavati da fotografie ed eseguì lavori di restauro e opere di decorazione. Luigi Morgari (Torino 1857 -1935) appartenente a una famiglia che da quattro generazioni era dedita alla pittura e all’affresco, lo volle con sé nei suoi “tour” di lavoro in tutto il Piemonte: furono questi i suoi primi veri guadagni. In una lettera all’amico Matteo Olivero, sicuramente prima della grande notorietà acquisita da quest’ultimo, scrisse: “Carissimo Matteo, spero che di salute starai ottimamente come pure tua mamma. Non ti domando dell’arte perché quella va quasi sempre male”. Nel 1915, alla non più tenera età di quarantadue anni, convolò a nozze con Caterina Caramagna, sua compaesana, fissando il domicilio a Torino in corso S. Maurizio. Da questa loro unione nasceranno nel 1915 Elena Lenci (Lencina) e nel 1922 Francesco (Franco). Alla Promotrice di Torino, dove aveva esordito nel 1907, ritornò nel 1920 con Funghi; Natura morta (tre studi); Fiori e frutta; Ampolle e uva. Nel 1922 con “Natura morta”, concorse al Premio Antonio Fontanesi col n° XL. Da quel momento fu sempre presente sino al 1941, esponendo le sue nature morte che si estrinsecavano in fiori, uva, mele, meloni, cavoli, rape, fragole, funghi, peperoni, cipolle; in sostanza tutti i frutti dell’orto e del frutteto erano rappresentati e poi scarpe spesso spaiate, vecchie valige di cartone, bronzi di cucina, terrine e pentolame di ogni genere. In proposito, Michele Berra su Cuneo Provincia Granda n° 3 del 2005, scrisse: “I soggetti e la tematica delle sue opere, sono apparentemente ripetitivi, se non intervenisse la personalità che distingue sempre l’artista (…) Questa personalità, Filippo l’acquisì man mano, lavorando con gioia e assiduità fino a impadronirsene con esecuzioni semplici e sincere, ma colme di umori e profumi che solo la sua terra, così intensamente amata sapeva emanare”. A proposito delle sue nature morte, soleva dire: “…Io sono un pittore fortunato: per i miei soggetti non ho neppure bisogno di uscire di casa e quando li ho dipinti, posso pure mangiarmeli”. Al Circolo degli Artisti di Torino, risultano soltanto due presenze: la prima nell’esposizione del 1915/1916 con “Paesaggio” e l’anno successivo con l’opera “Fiori e frutta”. In quegli anni fu più volte a Roma, ospite del signor Fasola di Bra, proprietario della Zizzola: un edificio a pianta ottagonale, disposto su due piani con al centro una torretta, posto sul colle di Monteguglielmo il più alto della città; edificio che oggi é il simbolo della stessa. Il signor Fasola lo presentò a ministri e uomini di cultura, i quali divennero subito suoi estimatori.