Pellicciotti Tito
PELLICCIOTTI TITO
(Barisciano, 1871 – Barisciano, 1950)

BIOGRAFIA E OPERE
Pellicciotti Tito, dal padre Carlo, scultore di fama locale, intuisce subito la buona inclinazione del giovane al disegno e non ne ostacola gli intendimenti e la “manifestata intenzione di sottoporsi alla disciplina di una preparazione più rigorosa” (G.L. Marini). Ne consegue che il giovane Tito “senza gravi sacrifici familiari si trasferì a Napoli e si iscrisse all’Istituto di Belle Arti partenopeo nel 1890” (G.L. Marini) ove ha per maestri Domenico Morelli e Filippo Palizzi. Dai loro insegnamenti elabora una forte connotazione verista dei primi stilemi valendosi per ciò di una pennellata morbida e corposa ed un’attenzione precipua agli aspetti luministici e cromatici. Un periodo preliminare di insegnamento (a metà degli anni ottanta) viene riferito convintamente dalla critica a Teofilo Patini. Sembra a tal riguardo quasi certo che il Nostro frequenti in quegli anni la Scuola di arti e mestieri di L’Aquila di cui il maestro altosangrino è all’epoca direttore. Lo stesso Patini poi incoraggerà il trasferimento del valoroso allievo in quel di Napoli alle soglie dei suoi vent’anni. Terminato il magistero formativo nel capoluogo partenopeo (e dopo una breve frequentazione del circolo michettiano di Francavilla) Pellicciotti fa ritorno nel paese natio ove dà corpo, con successo, all’attività pittorica licenziando una produzione cospicua ma del tutto accattivante nelle tematiche. Memore della lezione palizziana egli rivolge altresì attenzione al mondo agreste della sua terra rappresentando interni rustici e di stalla, contadini e pastorelle, basti e greppie ma soprattutto riuscite figurine di animali domestici colti in una sorta di delicato lirismo e contornati da oggetti e vasellame della vita quotidiana, sedie spagliate e conche di rame, cipolle e fieno; non mancano interni di osteria animati da figure popolari e scorci “en plein aire” con pastorelle di pecore e tacchini o anche quadretti di strada con venditori di cipolle, suonatori ambulanti e ombrellai con pipe fumiganti; e ancora carovane pastorali, scene di caccia e alcune delicate maternità. In questa fase pittorica il Nostro, oberato peraltro da una consistente domanda di mercato (a cui invero non sempre ha corrisposto pari efficacia di risultato artistico), subisce fortemente l’influenza i un altro suo illustre conterraneo, Francesco Paolo Michetti, che per taluni è da intendere addirittura come una “sorta di subordinazione” ispirativa. Si vedano a tale proposito le insistite “pastorelle” in posa sullo sfondo di minuscoli borghi arroccati. L’ammirazione per il genio michettiano fu poi sostenuta da una vera amicizia personale per la quale Michetti non lesinò al Nostro apprezzamenti pubblici e stima sincera. Nel 1911 Pellicciotti partecipa alla campagna di Libia a cui allega non incidentalmente una produzione artistica del genere “orientalista” (a quell’epoca assai in voga) che estende volontariamente a tutto il 1912.