Porcheddu Beppe
PORCHEDDU BEPPE
(Torino, 1º maggio 1898 – 27 dicembre 1947)

BIOGRAFIA E OPERE
Porcheddu Beppe, figlio dell’ing. Giovanni Antonio, nasce a Torino, ove il padre ha aperto uno studio professionale per la realizzazione di conglomerati in cemento armato, con la concessione esclusiva in Italia del brevetto Hennebique. Studia inizialmente da autodidatta. Grazie alla prima “Esposizione internazionale di umorismo” in Italia, tenutasi a Rivoli nel 1911, si appassiona a nomi come Arthur Rackham e Edmund Dulac. Giovanissimo, esordisce sul Corriere dei Piccoli e sulla “Domenica dei Fanciulli”. Dopo gli studi classici, incoraggiato dallo scultore Leonardo Bistolfi, Porcheddu frequenta i corsi di disegno nella facoltà di architettura del Politecnico di Torino. Nel 1916 viene richiamato alle armi per combattere nella prima guerra mondiale col grado di sottotenente degli Alpini. Negli ultimi giorni del conflitto, una ferita in battaglia lo rende claudicante per tutta la vita. Al ritorno dal fronte, Porcheddu collabora come illustratore per la rivista “Il Pasquino” e, nel 1920, per le riviste “Numero”, “La Lettura”, “L’Illustrazione del Popolo”, “Il Secolo XX”; nello stesso anno entra nella sezione artistica delle Edizioni De Agostini, per la quale realizza i disegni della collana “I grandi prosatori”, e le tavole del romanzo “Angelo di Bontà” di Ippolito Nievo. A partire dal 1922, Porcheddu inizia la sua attività di disegnatore di bambole, progettista di giocattoli e decoratore di ceramiche che vengono esposte nel 1929 alla mostra della produzione della fabbrica “Lenci”, alla Galleria Pesaro di Milano. Nel 1938 firma la scenografia del film Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti. Nel 1939 Beppe Porcheddu lascia Torino e si trasferisce a Bordighera. È apprezzato disegnatore di fumetti: crea la serie dei “nanetti” per il “Corriere dei Piccoli” e “L’anello di Burma”, da un romanzo di Renato Brunati, per il “Balilla”; collabora con la Mondadori, chiamato da Federico Pedrocchi; quest’ultimo gli affida la sceneggiatura de “Il castello di San Velario” di Eros Belloni, che sarà pubblicato postumo, nel 1948, nella collana degli Albi d’Oro di Topolino, in due parti. Sempre per “Topolino” realizza anche I viaggi di Gulliver, che non vedrà mai la pubblicazione. Il suo capolavoro è l’illustrazione del “Pinocchio” di Collodi (1942). Per tale impresa Porcheddu utilizza tre soli colori, il rosso mattone, l’azzurro carta da zucchero e il bianco biacca, cui aggiunge il nero. L’artista, tuttavia, ha la geniale idea di realizzare i disegni su cartoncini grigio chiaro o beige, dando una precisa valenza cromatica anche allo sfondo libero dal disegno. Nel “Pinocchio”, la grafica dell’artista compone in ogni singola tavola un impianto che ancor oggi appare straordinariamente moderno.