Chini Galileo
CHINI GALILEO
(Firenze, 2 dicembre 1873 – Firenze, 23 agosto 1956)

BIOGRAFIA E OPERE
Chini Galileo, si iscrisse alla Scuola d’Arte di Santa Croce, a Firenze, dove frequentò corsi di decorazione. Iniziò a lavorare nella fabbrica di prodotti chimici Pegna, successivamente fu apprendista decoratore nell’impresa di restauri dello zio paterno Dario (1847-1897). Proseguì nell’attività di apprendista fino al 1895 frequentando, oltre l’azienda dello zio, le botteghe di Amedeo Buontempo e Augusto Burchi, entrambi pittori attivi in quegli anni a Firenze. Dal 1895 al 1897 frequentò saltuariamente la Scuola Libera di Nudo all’Accademia di Belle Arti di Firenze senza conseguire alcun diploma, e considerandosi sempre al culmine della sua formazione un autodidatta totale. In questo stesso periodo conobbe la giovane Elvira Pescetti che diventò sua moglie. A Firenze nel 1896 fondò la manifattura “Arte della Ceramica” (poi rinominata Manifattura di Fontebuoni) insieme a Giovanni Vannuzzi, Giovanni Montelatici, Vittorio Giunti, Vincenzo Giustiniani e Giuseppe Gatti Casazza. Nel 1897 il Comune di San Miniato commissionò a Dario Chini il restauro degli affreschi della Sala del Consiglio Comunale (oggi denominata Sala delle Sette Virtù). Per la sopraggiunta morte di Dario Chini, l’incarico passò a Galileo che terminò i lavori entro il novembre del 1898. Nella parte basamentaria delle pitture, Galileo si concesse maggiore libertà di esecuzione, inserendo il profilo di alcune figure nel finto marmorino. Nel luglio del 1898, mentre stava lavorando nel Municipio di San Miniato, Galileo fu chiamato a visionare alcune pitture rinvenute circa venti anni prima all’interno della chiesa di San Domenico. Compiendo ulteriori saggi nelle cappelle laterali, scoprì le pitture tre-quattrocentesche della Cappella Rimbotti, che fu incaricato di restaurare. Il lavoro nella chiesa domenicana si protrasse fino al 1900, dove nel frattempo gli fu affidato anche il restauro della Cappella del Rosaio e della Cappella Roffia-Del Campana. Laddove gli affreschi erano irrimediabilmente perduti, Galileo Chini non esitò a far rimuovere l’intonaco e a procedere successivamente a nuove decorazioni.